Prime linee interpretative del D.M. 21/08/2019, n. 127

DIPARTIMENTO DELLA PUBBLICA SICUREZZA

N. 557/ST/0.3.3.1.0                                                                                                         Roma, data del protocollo

OGGETTO: Prime linee interpretative del D.M. 21/08/2019, n. 127 concernente il “Regolamento recante l’applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell’ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della diftsa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell’interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica“.

1. Premessa

Come è noto, nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana del 30 ottobre 2019 n. 255 è stato pubblicato il D.M. 21 agosto 2019 n. 127, recante il “Regolamento recante l’applicazione del decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, in materia di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro, nell’ambito delle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato, del Dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile, del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché delle strutture del Ministero dell’interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica”.

Il provvedimento dà attuazione all’articolo 3, comma 2, del D. Lgs. 9 aprile 2008, n. 81, d’ora in avanti indicato come “TUS” (Testo Unico Sicurezza), il quale prevede che le_disposizioni del medesimo TUS si applicano a talune categorie di soggetti pubblici – tra cui le Forze di polizia — secondo particolari modalità, atte a tener conto delle peculiarità organizzative e dei compiti da effettuare, stabilite con appositi regolamenti ministeriali.

Il citato D.M. n. 127/2019 si inserisce, pertanto, in questo contesto, ponendosi l’obiettivo di garantire, anche attraverso l’introduzione di norme di carattere derogatorio, un’applicazione coerente della disciplina generale in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro, nel particolare “environment” in cui il personale operante negli uffici e comandi delle Forze di polizia è chiamato ad agire.

Premesso che il D.M. n. 127/2019 segna anche l’abrogazione del D.M. 14 giugno 1999, n. 450 (adottato sotto il vigore del precedente D. Lgs. 14 settembre 1994, n. 626), con la presente circolare si intende rassegnare una panoramica sui contenuti del nuovo regolamento, con segnato riguardo alle principali disposizioni di interesse esclusivo di questa Amministrazione (omettendo ogni riferimento al Dipartimento dei Vigili del fuoco e al Corpo nazionale).

La Direzione Centrale di Sanità — anche nella prospettiva delle nuove responsabilità che assumerà in materia, una volta che sarà stato completato il progetto di riorganizzazione del Dipartimento — diramerà indicazioni finalizzate ad illustrare aspetti di più specifico dettaglio del regolamento in parola.

2. Ambito di applicazione.

Il Capo I del provvedimento in esame detta disposizioni comuni concernenti le speciali modalità di applicazione della normativa in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro.

In particolare, l’articolo 1 alla lettera a) individua i luoghi di lavoro in cui si applicano le disposizioni del TUS nelle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato e delle strutture centrali e periferiche del Ministero dell’interno destinate a svolgere compiti in materia di ordine e sicurezza pubblica.

Allo stato attuale e, come disposto dall’articolo 19 del D.M. in esame, fino alla data di entrata in vigore del decreto interministeriale previsto dall’articolo 13, comma 3, del TUS, le strutture sono quelle individuate, in dettaglio, con decreto del Ministro dell’interno di concerto con il Ministro del lavoro e della previdenza sociale e con il Ministro della sanità del 15 aprile 1997 recante “Individuazione delle aree riservate e operative. Attività di vigilanza” (adottato durante la vigenza del richiamato decreto legislativo n. 626 del 1994, abrogato dal decreto legislativo n. 81 del 2008). In particolare, l’articolo 1, lettera b), del citato D.M. stabilisce che “per l ‘Amministrazionedell’Interno si considerano aree operative, riservate e con esigenze analoghe, …. le sedi delle Questure, dei Commissariati di Pubblica Sicurezza e delle altre strutture della Polizia di Stato; i mezzi e le istallazioni fisse o mobili utilizzate dalla Polizia di Stato per i suoi compiti operativi e addestrativi, ancorché collocati o impiegati in luoghi non pertinenti all’Amministrazione della Pubblica Sicurezza; le sedi delle altre articolazioni centrali e periferiche del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, i relativi mezzi ed istallazioni”. ¹


¹ Sotto il profilo soggettivo, pertanto, il lavoratore, che ai sensi del TUS art. 2, comma 1, lettera a), è quella “persona che, indipendentemente dalla tipologia contrattuale, svolge un’attività lavorativa nell’ambito dell’organizzazione di un datore di lavoro pubblico o privato, con o senza retribuzione, anche al solo fine di apprendere un mestiere, un’arte o una professione, esclusi gli addetti ai servizi domestici e familiari”, nei luoghi di lavoro qui d’interesse coincide con il personale della Polizia di Stato e dell’Amministrazione civile dell’interno in servizio nelle articolazioni centrali e periferiche della Polizia di Stato e con il personale della Polizia di Stato e dell’Amministrazione civile dell’interno – e delle altre forze di polizia negli Uffici cd. “interforze” – nelle strutture del Ministero dell’interno destinate per finalità istituzionali alle attività degli organi con competenza in materia di ordine e sicurezza pubblica.

Lungo tale direttrice si snoda la giurisprudenza(Cass. Pen.,Sez. IV, n. 40721/2015) quando afferma che ogni tipologia di spazio può assumere la qualità di “luogo di lavoro” a condizione che ivi sia ospitato almeno un posto di lavoro o esso sia accessibile al lavoratore nell’ambito del proprio lavoro.

Pertanto, i luoghi di lavoro occupati dal personale della Polizia di Stato che pure rientrano nella disponibilità giuridica di enti terzi (ad esempio, il gestore aeroportuale o l’autorità portuale nei casi di aeroporti e stazioni marittime dove insistano uffici di polizia), assumono la qualificazione di luogo pertinenziale dell’ufficio periferico di polizia, in quanto ambienti forniti in disponibilità da tali enti per le esigenze connesse al servizio espletato dalla Polizia di Stato nello specifico settore.

In relazione a tali strutture, non potendo il Ministero dell’Interno intervenire direttamente su strutture di proprietà altrui, occorrerà svolgere preventive intese tra le parti, all’esito delle quali potranno assumersi le conseguenti determinazioni anche ai fini dell’accesso del rappresentante dei lavoratori per la sicurezza.

Il Capo II regola le peculiari e specifiche modalità di applicazione delle disposizioni del decreto legislativo n. 81 del 2008 nei predetti ambienti di lavoro.

Si attira, in particolare, l’attenzione, sull’articolo 8 del D.M. in commento, che riveste un’importanza centrale nell’intero sistema regolatorio. La norma individua, in dettaglio, al comma 2, lettere dalla a) alla d), le particolari esigenze connesse alle attività istituzionali ovvero alle peculiarità organizzative che debbono essere tenute presenti nell’applicazione della legislazione in materia di salute e sicurezza nei predetti uffici al cui interno il comma 4 dispone che vengano salvaguardate le caratteristiche strutturali, organizzative e funzionali preordinate a realizzare “… un adeguato livello di protezione e di tutela del personale in servizio.., la sicurezza e la riservatezza delle telecomunicazioni e del trattamento dei dati … la prevenzione della fuga o da aggressioni, nonché la prevenzione da azioni di autolesionismo delle persone detenute, arrestate, fermate o trattenute”.

In sostanza, il regolamento definisce i contenuti degli adempimenti previsti dalla fonte primaria coerentemente con le peculiarità lavorative ed organizzative del servizio espletato dal personale della Polizia di Stato e con le caratteristiche strutturali, organizzative e funzionali degli immobili e delle aree di pertinenza delle strutture cui si applica il decreto.

3. Il datore di lavoro.

Come è noto, ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lett. b) del TUS, per “datore di lavoro” nelle pubbliche amministrazioni si intende “il dirigente al quale spettano i poteri di gestione, ovvero il funzionario non avente qualifica dirigenziale, nei soli casi in cuiquest’ultimo sia preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, individuato dall’organo di vertice delle singole amministrazioni tenendo conto dell’ubicazione e dell’ambito funzionale degli uffici nei quali viene svolta l’attività, e dotato di autonomi poteri gestionali e di spesa. In caso di omessa individuazione, o di individuazione non conforme ai criteri sopra citati, il datore di lavoro coincide con l’organo di vertice“.

La definizione che precede segna il passaggio da una concezione formalistica della qualità di datore di lavoro, ancorata alla titolarità del rapporto di lavoro con l’Amministrazione, ad una sostanziale, fondata sul principio dell’effettività dei poteri decisionali e di spesa: è chiamato a rispondere degli inadempimenti in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro il dirigente, o funzionario non avente qualifica dirigenziale, che decide in autonomia e che autonomamente esercita potere di spesa.²


² Ma che comunque sia stato anche individuato dall’organo di vertice. In assenza ovvero in caso di non conformità di tale individuazione, come affermato anche dalla giurisprudenza(Cass. pen.,sez. III, 17/09/2007, n. 34912), la finzione di datore di lavoro non “transita” dall’organo di vertice al dirigente e non si realizza, pertanto, alcuno “spostamento” delle responsabilità anche penali ad esse connesse.

Coerentemente con questo impianto, l’articolo 2, comma 1, del D.M. n. 127/2019 prevede che, fermo restando quanto previsto dall’articolo 2, comma 1, lettera b), del TUS, nel rispetto delle effettive particolari esigenze connesse al servizio espletato e dei peculiari assetti organizzativi e ordinamentali vigenti, le funzioni di datore di lavoro sono assolte, nelle strutture di cui trattasi, anche dal dirigente, al quale spettano i poteri di gestione dell’ufficio, ivi inclusi quelli di organiz7a7ione del lavoro e di autonoma valutazione del rischio, ovvero dal funzionario non avente qualifica dirigenziale preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale anche ai fini dell’organizzazione del lavoro e della valutazione del rischio, ancorché non siano dotati di autonomi poteri di spesa.

Si tratta di previsione che deroga ai criteri fissati, in via generale, dal TUS, alla cui base sta la constatazione che i dirigenti e funzionari preposti alla maggior parte delle strutture in questione non gestiscono capitoli di spesa funzionali all’adozione delle misure di tutela della salute e della sicurezza dei lavoratori.

Pertanto, nelle strutture centrali e periferiche della Polizia di Stato assumono la titolarità delle funzioni di datore di lavoro o di delegato del datore medesimo:

  • il dirigente al quale spettano i poteri di gestione dell’ufficio, ivi inclusi quelli di organizzazione del lavoro e di autonoma valutazione del rischio, ancorché non sia dotato di autonomi poteri di spesa;
  • il funzionario non avente qualifica dirigenziale preposto ad un ufficio avente autonomia gestionale, anche ai fini dell’organizzazione del lavoro e della valutazione del rischio, ancorché non sia dotato di autonomi poteri di spesa;
  • i dirigenti e funzionari non aventi qualifica dirigenziale (questi ultimi nei casi in cui siano preposti ad uffici aventi autonomia gestionale), ancorché non dotati di autonomi poteri spesa, delegati allo svolgimento delle funzioni dal datore di lavoro.

La disposizione non determina, comunque, una forma di responsabilità oggettiva. Essa, infatti, si preoccupa di precisare che restano ferme le responsabilità dei dirigenti o funzionari che hanno l’obbligo di provvedere all’adozione di misure di prevenzione e di interventi strutturali e di manutenzione, per i quali sono necessari autonomi poteri decisionali e di spesa. A ciò si affianca l’ulteriore responsabilità dei dirigenti di uffici centrali o periferici responsabili della pianificazione e gestione finanziaria delle risorse di bilancio ovvero dell’assegnazione delle risorse.

L’articolo 2, comma 3, stabilisce che l’individuazione dei datori di lavoro è demandata ad uno o più decreti del Ministro dell’Interno, da adottarsi entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto, attuando un implicito richiamo alla normativa primaria, che fa discendere l’organizzazione della sicurezza dal vertice della singola amministrazione, chiamata a individuare il datore di lavoro ai sensi dell’articolo 2, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 81 del 2008.

4. Individuazione dei dirigenti e dei preposti.

E L’articolo 3 del D.M. n. 127/2019 individua le figure del dirigente e del preposto, soggetti diversi dal datore di lavoro espressamente gravati, iure proprio, di compiti e responsabilità. Il “dirigente” è individuato nel “soggetto responsabile di unita organizzativa che, in ragione delle competenze professionali e dei poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, attua le direttive del datore di lavoro organizzando l’attività lavorativa e vigilando su di essa“. Alla figura del “dirigente” – non collegata alla qualifica, ma identificata sulla scorta delle funzioni assegnate e della sfera di responsabilità gestionale attribuita – può dunque corrispondere anche personale non avente qualifica dirigenziale, ma comunque responsabile di unità organizzative.

Il dirigente è tenuto, insieme al datore di lavoro, alla predisposizione delle misure di sicurezza idonee a garantire la sicurezza dei lavoratori. L’articolo 18 del TUS attribuisce al dirigente, infatti, un autonomo dovere di sicurezza, che prescinde da un eventuale atto di delega da parte del datore di lavoro che, qualora ricorresse, amplierebbe la sfera di responsabilità originaria del dirigente, trasferendo in capo a quest’ultimo una quota di responsabilità di pertinenza del datore di lavoro.

Sarà cura del datore di lavoro procedere all’individuazione, nell’ambito della struttura di cui è responsabile, dei “dirigenti”, tenendo conto dell’organizzazione gestionale ed amministrativa, ed indicando in maniera puntuale ed espressa i poteri e le competenze attribuite.

Anche per il preposto il decreto in esame richiama la definizione del decreto legislativo n. 81 del 2008, quale “soggetto che, in ragione delle competenze professionali e nei limiti di poteri gerarchici e funzionali adeguati alla natura dell’incarico conferitogli, sovrintende all’attività lavorativa del personale dipendente, anche temporanea, e garantisce l’attuazione delle direttive ricevute, controllandone la corretta esecuzione ed esercitando un funzionale potere di iniziativa, individuato sulla base dell’organizzazione dell’ufficio“.

Da tale definizione discende che gli elementi che caratterizzano maggiormente tale figura sono la relazione di immediatezza che corre tra essa e il lavoratore nonché la posizione intermedia tra datore di lavoro o dirigente e lavoratori. Ne deriva che il preposto deve individuarsi in relazione all’incarico attribuito, che lo pone in una posizione di preminenza nei confronti di altri lavoratori impiegati in un medesimo contesto lavorativo.

In particolare, il ruolo di preposto può essere identificato nel soggetto che nell’organizzazione:

  • è gerarchicamente subordinato al dirigente o, in assenza di questi, direttamente al datore di lavoro, in una posizione tale, cioè, da porlo in condizioni di sovrintendere N a determinate attività svolgendo funzioni di controllo e sorveglianza;
  • vigila sul lavoro dei dipendenti per garantire che esso si svolga nel rispetto delle regole di sicurezza.

La scelta sarà operata dal dirigente ovvero dal datore di lavoro, che individuerà il preposto con atto formale contenente le specifiche attribuzioni e competenze assegnate, fermo restando che anche tale figura è destinataria, ope legis, di specifici obblighi e compiti, ai sensi dell’articolo 19 del decreto legislativo n. 81 del 2008.

Quanto alle modalità con cui il preposto deve adempiere le funzioni di controllo, non è richiesta necessariamente la presenza in occasione dell’attività di servizio effettuata dal personale cui sovrintende, non essendogli richiesto di sorvegliare a vista il lavoratore, bensì di assicurarsi che il personale riceva ordini certi e adeguati a garantire l’attuazione delle misure di prevenzione.

5. Servizio di prevenzione e protezione.

L’articolo 2, comma 1, lettera 1), del TUS definisce il “servizio di prevenzione e protezione dai rischi” come il complesso di “persone, sistemi e mezzi esterni o interni all’azienda finalizzatiall’attività di prevenzione e protezione dai rischi professionali per i lavoratori“. Ai sensi dell’articolo 31 del citato decreto legislativo, il servizio di prevenzione e protezione è organizzato “prioritariamente” dal datore di lavoro “l’interno della azienda o della unità produttiva“.

L’articolo 5 del regolamento prevede che il Servizio di prevenzione e protezione sia istituito avvalendosi esclusivamente di personale delle rispettive amministrazioni, in possesso dei requisiti professionali di cui all’articolo 32 TUS.

Proprio in ragione della delicatezza dei compiti assegnati, il successivo comma 2 del medesimo articolo 5, prevede che gli addetti ed il responsabile devono disporre di “mezzi e tempi adeguati per lo svolgimento dei compiti loro assegnati“, che sono quelli previsti dall’articolo 33 del TUS.

L’articolo 5, comma 2 sopracitato riconosce, inoltre, all’Amministrazione la facoltà di avvalersi della consulenza di personale tecnico esterno in possesso delle conoscenze professionali necessarie, laddove si renda necessario valutare particolari rischi per i quali non si hanno adeguate professionalità interne. Trattandosi di una deroga alla previsione del ricorso in via esclusiva a personale interno per l’organizzazione del Servizio Prevenzione e Protezione, le determinazioni datoriali finalizzate ad avvalersi di personale esterno, dovranno essere sostenute da una opportuna ed adeguata motivazione.

6. Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del personale della Polizia di Stato.

L’articolo 10 del D.M. n. 127/2019 detta disposizioni per l’individuazione dei rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del personale della Polizia di Stato, conformando anche in questo caso le relative procedure delle disposizioni del TUS. La disposizione prevede, infatti, che “i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del personale sono eletti o designati secondo le modalità previste dagli articoli 47, 48 e 49 del decreto legislativo n. 81 del 2008 e nel rispetto degli accordi collettivi nazionali“.

La disposizione stabilisce che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del personale ricevono la prevista formazione a cura dell’Amministrazione, secondo quanto previsto dall’articolo 37, comma 10, del TUS, mentre il comma terzo prescrive che la definizione del numero, delle modalità di designazione o di elezione del rappresentante per la sicurezza del personale della Polizia di Stato, del tempo di lavoro retribuito e degli strumenti per l’espletamento delle funzioni, nonché le modalità e i contenuti della formazione, sono stabiliti in sede di accordo nazionale quadro.

Si rammenta che all’indomani dell’entrata in vigore del decreto legislativo n. 81 del 2008, l’articolo 23 dell’Accordo Nazionale Quadro del 2009 ha stabilito che “Entro sei mesi dall’entrata in vigore del presente Accordo, l’Amministrazione avvia il confronto con le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative e firmatarie del presente Accordo per la definizione delle modalità applicative dell’articolo 47 delDigs. n. 81/2008, la cui efficacia è subordinata all’emanazione del provvedimento di cui all’articolo 3, comma 2, del predetto decreto legislativo o, comunque, alla scadenza del termine ivi previsto“.

Va tuttavia precisato che, già sotto la vigenza del D.Lgs. n. 626 del 1994, è stato precisato che nelle more del perfezionamento degli strumenti di contrattazione collettiva, con particolare riferimento all’Accordo Nazionale Quadro per il personale della Polizia di Stato, le funzioni di R.L.S. potevano essere svolte dalle segreterie provinciali delle organizzazioni sindacali più rappresentative sul piano nazionale, ove costituite.

Tale orientamento continuerà ad applicarsi fino a quanto non sarà data concreta attuazione alla disciplina applicativa del richiamato articolo 47 del TUS.

L’articolo 10 del D.M. n. 127/2019 si chiude con la previsione che i rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza hanno il diritto di ricevere le informazioni provenienti dagli uffici di vigilanza di cui all’articolo 6, comma 1, lettera a), ai sensi dell’articolo 50, comma 1, lettera 0, del decreto legislativo n. 81 del 2008.

7. Formazione, informazione e addestramento.

L’articolo 11 disciplina l’informazione, la formazione e l’addestramento del personale che devono essere assicurati dal datore di lavoro, come previsto dal TUS, ed erogati, ai sensi del comma 2 “attraverso l’emanazione di circolari, direttive, avvisi da affiggere in apposite bacheche, nelle modalità ritenute dal datore di lavoro più idonee ad assicurarne la facile comprensione da parte dei lavoratori, anche attraverso l’utilizzo di strumenti telematici“.

L’attività formativa di base in materia di sicurezza e salute dei lavoratori, è attuata, nell’ambito dei cicli formativi e addestrativi di base, sia per l’immissione nei ruoli che per la progressione in carriera del personale, secondo programmi didattici distinti per ruoli di appartenenza, che rispettino i contenuti dei percorsi formativi previsti dal TUS.

Il personale della Polizia di Stato è destinatario, pertanto, dei cennati programmi didattici che devono tener conto delle peculiarità tecniche, operative, organizzative che contraddistinguono le molteplici attività della Polizia di Stato e dei rischi tipici ad esse correlati. L’attività formativa prosegue nel tempo attraverso seminari, conferenze e cicli addestrativi e di aggiornamento, nell’ottica di una sempre più qualificata formazione professionale.

Le attività addestrative e formative, definite a livello centrale — articolate come si è detto in seminari, conferenze e cicli di formazione e di aggiornamento – è svolta presso gli istituti di formazione del Ministero dell’interno, ovvero presso le strutture dallo stesso individuate (comma 5) e si concludono con il rilascio di apposito attestato di frequenza che costituisce titolo valido ai fini delle trascrizioni matricolari degli interessati (comma 4).

8. Controlli tecnici, verifiche, certificazioni, interventi strutturali e manutenzioni.

L’articolo 12 detta disposizioni in tema di uniformi, di armi, di strumenti di lavoro, di specifici impianti, delle installazioni speciali, delle attrezzature di protezione, dei mezzi operativi, ecc., precisando che fermi restando gli obblighi dei progettisti, dei fabbricanti, dei fornitori e degli installatori di cui agli artt. 22, 23 e 24 del TUS, gli stessi restano disciplinati dalle disposizioni – adottate dall’Amministrazione sulla scorta del capitolato tecnico, del contratto e del disciplinare di impiego, ovvero del manuale d’uso – per le specifiche esigenze individuate nell’articolo 8, comma 2, lett. d), del D.M. n. 127/2019, previo controllo tecnico, verifica o collaudo, effettuati da personale dell’Amministrazione in possesso dei requisiti tecnici e professionali previsti dalla normativa vigente. Anche in questo caso, o qualora non vi sia personale dell’Amministrazione in possesso dei citati requisiti è possibile il ricorso a soggetti esterni, in presenza di adeguata motivazione.

Sugli obblighi a carico dei soggetti di cui agli artt. 22, 23 e 24 del decreto legislativo n. 81 del 2008, incombe, tuttavia, il dovere di vigilanza da parte del datore di lavoro e degli altri titolari di posizioni di garanzia.

L’articolo 18, comma 3-bis, del TUS prevede, infatti, che “il datore di lavoro ed i dirigenti sono tenuti altresì a vigilare in ordine all’adempimento degli obblighi di cui agli articoli 19, 20, 22, 23, 24 e 25, ferma restando l’esclusiva responsabilità dei soggetti obbligati ai sensi dei medesimi articoli qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi e non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti.”

Da ciò deriva che la responsabilità esclusiva dei soggetti obbligati ai sensi dei citati articoli 22, 23 e 24 sussiste solo “… qualora la mancata attuazione dei predetti obblighi sia addebitabile unicamente agli stessi che, però, presuppone proprio che non sia riscontrabile un difetto di vigilanza del datore di lavoro e dei dirigenti…”

9. Valutazione dei rischi.

L’articolo 13 prevede che i dirigenti che provvedono all’individuazione delle disposizioni tecniche e dei capitolati tecnici d’opera dei materiali, delle armi, delle installazioni e dei mezzi indicati al precedente articolo 12, ovvero al loro approvvigionamento e fornitura, hanno l’obbligo di individuare e comunicare ai datori di lavoro destinatari finali le informazioni necessarie alla valutazione dei rischi, affinché ne tengano conto nell’elaborazione del documento previsto dall’articolo 28 del TUS.

Restano fermi gli obblighi del datore di lavoro ai fini della valutazione dei rischi nelle attività e nei luoghi di lavoro. La valutazione dei rischi, infatti, è un obbligo primario del datore di lavoro, non delegabile (articolo 17, comma 1, TUS), che si concretizza nella redazione del documento di valutazione dei rischi (DVR), nel quale il datore di lavoro, valutati i rischi esistenti nell’ambiente in cui i lavoratori sono destinati a lavorare o connessi all’attività lavorativa in sé, e specificando anche i criteri adottati per la valutazione stessa, individua le misure di prevenzione e di protezione e formula il programma delle misure opportune per garantire il miglioramento nel tempo dei livelli di sicurezza.

L’obbligo che grava sul datore di lavoro si configura non solo nell’ipotesi di omessa valutazione dei rischi e mancata redazione del documento4, ma anche nel caso in cui non siano in esso presenti alcuni degli elementi indicati nell’articolo 28, comma 2, lettere b), c) o d), del TUS5(quali l’indicazione delle misure, delle procedure anche organizzative necessarie alla loro realizzazione, individuazione delle mansioni che espongano i lavoratori alle mansioni più pericolose).

Tuttavia, la disposizione regolamentare impone ai richiamati dirigenti di coadiuvare il datore di lavoro nel processo di elaborazione del documento imponendo loro di individuare e comunicare le informazioni necessarie alla valutazione dei rischi, incidendo sulla tipizzazione delle fattispecie di illecito penale in tale specifico ambito della disciplina prevenzionistica. Per ostoro la disciplina regolamentare ha previsto, infatti, il coinvolgimento nel processo di valutazione dei rischi e di elaborazione del documento in aggiunta alle altre figure della sicurezza. La loro responsabilità discende dall’obbligo di comunicare ai datori di lavoro – destinatari dei beni, mezzi e materiali – le informazioni circa la natura, la tipologia e le caratteristiche costruttive dei materiali e i loro componenti; i rischi per la salute e la sicurezza del personale, in conseguenza del loro utilizzo; le principali misure tecnico-organizzative e sanitarie da adottare nel loro utilizzo, al fine di eliminare, ridurre o contenere i rischi per la salute.

Con il terzo comma, viene stabilito che la valutazione dello stress-lavoro, sempre ai fini degli adempimenti previsti dall’articolo 28 del decreto legislativo n. 81 del 2008, viene definita in base alle indicazioni della commissione consultiva permanente per la salute e la sicurezza sul lavoro di cui all’articolo 6 del decreto legislativo n. 81 del 2008, tenendo conto delle particolari caratteristiche e modalità delle prestazioni lavorative. L’Amministrazione ha provveduto in tale senso con l’emanazione, nel 2015, delle “Linee guida della procedura operativa raccomandata per la valutazione del rischio stress lavoro correlato nel personale che presta servizio nelle strutture centrali e periferiche dell’Amministrazione della pubblica sicurezza”, redatte secondo le Linee Guida elaborate ed approvate dalla Commissione Consultiva Permanente per la Salute e Sicurezza sul Lavoro (CCPSSL), ma rese specifiche per il peculiare ambito applicativo.

Un’ultima precisazione relativa al DVR riguarda la consultabilità del documento da parte del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, osservando che il Tribunale Ordinario – Sezione lavoro n. 7273/2009, chiamato a pronunciarsi sul riconoscimento in capo al RLS del diritto a ricevere copia cartacea del DVR e del diritto di consultarlo anche al di fuori della sede aziendale, ha espressamente premesso all’analisi della questione di diritto l’incontrovertibilità dell’obbligo del datore di lavoro di consegnare il DVR al RLS (articolo 18, comma 1, lett. o), del D.Lgs. n. 81/2008), cui corrisponde il diritto soggettivo di questi di ricevere copia del documento in parola (articolo 50, comma 4, del medesimo decreto) – ha precisato che l’obbligo di consegna del DVR implica la materiale disponibilità del documento stesso da parte del RLS, con conseguente ricezione dello stesso sia in forma cartacea che informatica. Nessun dubbio sulle modalità di svolgimento della consultazione da parte del RLS, che la legge espressamente esclude al di fuori degli spazi aziendali.

Per quanto attiene, invece, all’accessibilità di tale documento e di ogni altro atto che attenga alla salute e sicurezza dei lavoratori, occorre preliminarmente evidenziare che, in linea generale, il diritto soggettivo riconosciuto al RLS si colloca nell’ambito delle relazioni tra soggetti preposti dalla legge all’attuazione delle misure in materia di salute e sicurezza nei luoghi di lavoro. Esso, tuttavia, non esclude, bensì concorre con il più generale diritto all’accesso esercitabile dai soggetti di cui all’articolo 22 della legge n. 241/1990 quando abbiano un interesse qualificato da far valere, tra i quali anche gli enti esponenziali di interessi diffusi, quali le organizzazioni sindacali. Per costoro la legittimazione attiva all’esercizio del diritto di accesso è subordinata alla circostanza che con la domanda ostensiva si intendano tutelare interessi del sindacato in quanto tale ovvero le posizioni di lavoro di singoli iscritti nel cui interesse e rappresentanza opera l’associazione.

Con particolare riferimento alla documentazione attinente alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, va evidenziato che l’applicabilità della normativa sull’accesso non può essere esclusa dalla circostanza che il D.Igs. n. 81/2008 impone, all’articolo 18, comma 1, di consegnare copia del documento di valutazione del rischio al rappresentante dei lavoratori per la sicurezza, e comunque dal riconoscimento in capo a tali soggetti del diritto di informazione su quanto attenga alla tutela della salute e sicurezza sui luoghi di lavoro, poiché tale obbligo è assolutamente compatibile con la sussistenza del diritto di accesso esercitato da parte dei soggetti interessati ex articolo 22 citato, tra i quali sono ricompresi, come già detto, anche le organizzazioni sindacali. In tal senso si muove anche la giurisprudenza quando afferma che “la normativa sull’accesso ai documenti amministrativi riveste una portata generalizzata che non tollera inibizioni applicative in virtù di disposizioni speciali, le quali, al contrario, potranno esprimere il loro vigore compatibilmente con il rispetto delle garanzie assicurate dagli articoli 22 e segg. della legge n. 241/1990” (T.A.R. Abruzzo, Sez. 1, 12 luglio 2012, n. 467 – T.A.R. Puglia, Sez. III -15 gennaio 2015, n. 56).

10. Documento unico di valutazione dei rischi da interferenze.

L’articolo 14 impone i criteri per la tutela della riservatezza delle informazioni di cui è preclusa la divulgazione nell’interesse della tutela dell’ordine e della sicurezza pubblica o per evitare pregiudizio ai compiti istituzionali, relative alle gare d’appalto (lettera a) e al documento di valutazione dei rischi da interferenze (lettera b).

Il provvedimento regolamentare richiama la disciplina contenuta nell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008, che trova applicazione nei casi in cui un datore di lavoro affida lavori, servizi o forniture ad un’impresa appaltatrice o a lavoratori autonomi, da eseguirsi all’interno di luoghi di cui abbia la disponibilità giuridica. Sulla base della disposizione in parola sono oggi configurabili, tra gli altri, in relazione all’aspetto della prevenzione in caso di appalto, due distinti e non sovrapponibili obblighi, ovvero “… da un lato, quello di coordinare gli interventi di protezione e prevenzione dai rischi cui sono esposti i lavoratori, imposto ai “datori di lavoro” genericamente denominati “ivi compresi i subappaltatori” (obbligo contemplato appunto dall’articolo 26 comma 2 ed autonomamente sanzionato dall’articolo 55, comma 5, lett. d), e, da un altro, quello di promuovere la cooperazione ed il coordinamento elaborando il documento di valutazione dei rischi (obbligo contemplato dall’articolo 26, comma 3, parimenti distintamente sanzionato dall’articolo 55, comma 5, lett. d), imposto testualmente al solo “datore di lavoro committente”.

La prova dell’avvenuto adempimento di tali obblighi è l’elaborazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze – DUVRI nel quale, in coerenza con la ratio che informa la norma primaria, è contenuta la descrizione dei percorsi condivisi di informazione e cooperazione volti a tutelare i lavoratori appartenenti ad organizzazioni diverse che si trovino ad interferire le une con le altre per lo svolgimento di determinate attività lavorative e nel medesimo luogo di lavoro. Tale documento, ai sensi dell’articolo 26, comma 3, è allegato al contratto d’appalto.

In tema di DUVRI, l’articolo 14 del D.M. n. 127 del 2019 detta norme peculiari per i contesti lavorativi presi in considerazione dalla disciplina regolamentare, le quali integrano le disposizioni previste nell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008.

In particolare, nella predisposizione delle gare di appalto o di somministrazione di servizi, lavori, opere o forniture, i costi relativi alla prevenzione dai rischi da interferenze con le attività delle imprese appaltatrici, sono indicati omettendo le informazioni di cui è vietata la divulgazione.

Per quanto attiene, invece, al documento di valutazione dei rischi da interferenze tra le attività svolte dal personale in servizio nelle articolazioni e strutture di cui all’articolo 1 e quelle svolte dalle imprese appaltatrici dei servizi, opere o forniture, la disposizione prevede che esso sia elaborato dal datore di lavoro committente, ovvero, in tutti casi in cui il datore di lavoro non coincide con il committente, dal soggetto che affida il contratto e dal datore di lavoro dell’organismo destinatario dei servizi, lavori, opere o forniture, ai sensi dell’articolo 26, comma 3-ter, del decreto legislativo n. 81 del 2008. Alla valutazione integrativa dei rischi di interferenza collabora anche il datore di lavoro appaltatore.

Il riferimento è ad una specifica applicazione del Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze per l’ipotesi in cui il datore di lavoro non coincida con il committente, per il quale il comma 3-ter dell’articolo 26 del decreto legislativo n. 81 del 2008 dispone che “… il soggetto che affida il contratto redige il documento di valutazione dei rischi da interferenze recante una valutazione ricognitiva dei rischi standard relativi alla tipologia della prestazione che potrebbero potenzialmente derivare dall’esecuzione del contratto“. Spetta poi al soggetto presso il quale deve essere eseguito il contratto integrare il predetto documento riferendolo ai rischi specifici presenti.

Il comma 2 individua, invece, alcune regole finalizzate alla tutela della riservatezza delle informazioni di cui è vietata la divulgazione, relative al Documento Unico di Valutazione dei Rischi da Interferenze. Nel dettaglio, tale documento:

  • non è allegato al contratto di appalto, subappalto o somministrazione ed è custodito, con le misure finalizzate a salvaguardare le informazioni in esso contenute, presso il luogo del datore di lavoro committente, ovvero, nei casi in cui non vi sia coincidenza tra datore di lavoro committente e datore di lavoro destinatario dei servizi, lavori, opere o forniture oggetto dell’appalto, presso i luoghi di entrambi i datori di lavoro e ne è data menzione nel contratto stesso;
  • è visionato dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza del datore di lavoro destinatario dei servizi, lavori, opere o forniture oggetto dell’appalto, e, limitatamente alle parti di loro stretto interesse, dai rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza dell’impresa appaltatrice.

Ai sensi del terzo comma, il datore di lavoro non risponde dei rischi propri dell’impresa appaltatrice, a carico della quale restano tutti gli obblighi e gli adempimenti previsti dal decreto legislativo n. 81 del 2008 nei confronti dei lavoratori dell’impresa stessa. Se la cooperazione, infatti, deve ritenersi doverosa per eliminare o ridurre i “rischi comuni” ai lavoratori delle due parti, ciascun datore di lavoro deve provvedere autonomamente alla tutela dei propri prestatori d’opera subordinati, assumendosene la relativa responsabilità.

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Nel rassegnare queste prime linee di indirizzo, ed attesa la rilevanza della materia trattata, si confida nella massima e capillare diffusione dei contenuti della presente circolare da parte delle Direzioni Centrali ed Uffici in indirizzo ai fini di una puntuale applicazione del regolamento in questione.

La circolare